Kaqun, uno studio ne conferma l’utilità per il trattamento di pazienti con diabete Tipo 2

Valutati la sua capacità di aumentare il livello di ossigeno nei tessuti nonché l’effetto protettivo sulla riduzione della massa mitocondriale e della disfunzione mitocondriale indotta dall’iperglicemia, l’acqua Kaqun s’è dimostrata un’efficace terapia adiuvante per il diabete di tipo 2. Ecco i dati emersi da un recente studio 

L’acqua Kaqun aumenta i livelli di ossigeno nel sangue arterioso, sembra avere un effetto protettivo sulla riduzione della massa mitocondriale e della disfunzione mitocondriale indotta dall’iperglicemia e può essere un’efficace terapia adiuvante per il diabete di tipo 2. Queste le conclusioni di uno studio condotto dai ricercatori del Changi General Hospital di Singapore sull’effetto dell’acqua Kaqun.


I ricercatori hanno valutato gli effetti dell’acqua stabilmente arricchita con ossigeno (ELO è il marchio con cui Kaqun viene distribuita in Asia) sui pazienti con diabete di tipo 2 per aumentarne i livelli nel sangue arterioso, sulla funzione mitocondriale in presenza di ambienti con glucosio normale o alto e come terapia ipoglicemizzante negli esseri umani. “Abbiamo dimostrato – spiegano gli autori – che bere acqua arricchita di ossigeno ELO è in grado di aumentare i livelli di ossigeno arterioso. È probabile che l’ossigeno nell’acqua ELO sia stato trasportato attraverso l’intestino nel flusso sanguigno attraverso le acquaporine che trasportano sia acqua che ossigeno. Abbiamo anche scoperto – continuano i ricercatori –  che i tassi di respirazione mitocondriale erano elevati nelle cellule coltivate in acqua ELO, come evidenziato da tassi di consumo di ossigeno più elevati associati alla respirazione basale e alla respirazione legata all’ATP, probabilmente facilitata dall’ambiente arricchito di ossigeno. 

Come anticipato, dalla ricerca è emerso in particolare l’effetto protettivo sulla riduzione della massa mitocondriale e della disfunzione mitocondriale indotta dall’iperglicemia, suggerendo l’uso di acqua Kaqun per il trattamento di pazienti con diabete di tipo 2. “È stato dimostrato – si legge nello studio – che l’inversione dell’ipossia migliora la capacità secretiva dell’insulina, la resistenza all’insulina e la funzione delle cellule beta. Nel nostro studio, l’acqua ELO ha ridotto significativamente l’HbA1c anche nei soggetti con diabete per almeno 10 anni”.

Qui sotto la traduzione in italiano dell’abstract.

NB: la ricerca fa riferimento nello specifico a “ELO water”, brand col quale Kaqun viene commercializzata in Asia. Kaqun Water e ELO Water sono lo stesso prodotto.

Contesto
Il diabete mellito è associato ad un inadeguato apporto di ossigeno ai tessuti. L’ipossia cellulare è associata a disfunzione mitocondriale che aumenta lo stress ossidativo e l’iperglicemia. La terapia di ossigenazione iperbarica, che ha dimostrato di migliorare la sensibilità all’insulina, non è pratica per un uso regolare. Abbiamo valutato gli effetti dell’acqua stabilmente arricchita con ossigeno (acqua ELO) per aumentare i livelli di ossigeno nel sangue arterioso, sulla funzione mitocondriale in presenza di ambienti con glucosio normale o alto e come terapia ipoglicemizzante negli esseri umani.

Metodi
Abbiamo confrontato i livelli di ossigeno nel sangue arterioso nei ratti Sprague-Dawley dopo 7 giorni di ELO ad libitum o consumo di acqua del rubinetto. Test di stress mitocondriale e analisi citofluorimetrica della massa mitocondriale e del potenziale di membrana sono stati eseguiti su cellule HepG2 umane coltivate in quattro terreni Eagle Medium modificati di Dulbecco, realizzati con acqua ELO o acqua normale (controllo), a livelli normali (5,5 mM) o alti ( 25 mM) concentrazioni di glucosio. Abbiamo anche randomizzato 150 adulti con diabete di tipo 2 (età media 53 anni, emoglobina glicata HbA1c 8,9% [74 mmol/mol], durata media del diabete 12 anni) a bere 1,5 litri al giorno di acqua ELO in bottiglia o acqua potabile.

Risultati
L’acqua ELO ha aumentato significativamente la tensione arteriosa dell’ossigeno pO2 (335 ± 26 contro 188 ± 18 mmHg, p = 0,006) rispetto all’acqua del rubinetto. Nelle cellule coltivate in acqua di controllo, la massa mitocondriale e il potenziale di membrana erano entrambi significativamente inferiori con glucosio 25 mM rispetto a glucosio 5,5 mM; al contrario, la massa mitocondriale e il potenziale di membrana non differivano significativamente a concentrazioni di glucosio normali o elevate nelle cellule coltivate in acqua ELO. L’ambiente ad alto contenuto di glucosio ha indotto una maggiore perdita di protoni mitocondriali nelle cellule coltivate in acqua ELO rispetto alle cellule coltivate nel mezzo di controllo con concentrazione di glucosio simile. Negli adulti diabetici di tipo 2, l’HbA1c è diminuito significativamente (p = 0,002) dello 0,3 ± 0,7% (4 ± 8 mmol/mol), con acqua ELO dopo 12 settimane di trattamento, ma è rimasto invariato con il placebo.

Conclusioni
L’acqua ELO aumenta i livelli di ossigeno nel sangue arterioso, sembra avere un effetto protettivo sulla riduzione della massa mitocondriale e della disfunzione mitocondriale indotta dall’iperglicemia e può essere un’efficace terapia adiuvante per il diabete di tipo 2.

Puoi trovare maggiori informazioni sulla correlazione tra diabete e ipossia visitando questa pagina.

 

State College, USA: apre il nuovo Vitality Wellness Club, centro fitness high-tech con bagni in vasca Kaqun

Il centro offrirà ad atleti professionisti e non solo una varietà di strumenti per l’allenamento ed il recupero, tra cui trattamento con luce rossa, ossigenoterapia iperbarica, saune e bagni in vasca con Acqua Kaqun. Alla guida due campioni olimpici…

Originale pubblicato su CENTRE DEALY TIME

I bagni in vasca con Acqua Kaqun saranno tra i trattamenti offerti dal nuovo Vitality Wellness Club di Garner Street, innovativo centro fitness high-tech prossimo all’apertura nello State College, in Pennsylvania (USA). Il centro offrirà ad atleti professionisti e non solo una varietà di strumenti per l’allenamento ed il recupero, tra cui trattamento con luce rossa, ossigenoterapia iperbarica, saune e terapia con Acqua Kaqun.

Ad orchestrare il tutto saranno il lottatore Kyle Dake, oggi impegnato negli allenamenti in vista delle Olimpiadi di Parigi, e David Taylor, campione olimpico ai Giochi di Tokyo 2020 recentemente assunto come capo allenatore della squadra di wrestling dell’Oklahoma State. 

Abby Drey adrey@centredaily.com

Uno studente universitario potrebbe mantenersi in forma attraverso un allenamento mirato, mentre un giocatore di football del liceo che si sta riprendendo da un infortunio e un settantenne con una piaga da decubito potrebbero trarre beneficio da un bagno in Kaqun ha detto Kyle Dake.

Uno dei servizi offerti dal nuovo Vitality Wellness Club sarà infatti quello dei bagni in vasca con acqua Kaqun, trattamento che combina l’ossigenoterapia, la terapia della luce e la terapia del calore in un unica soluzione. “In un primo momento – ha spiegato Dake –  sembra di entrare in una vasca idromassaggio: l’acqua calda rilassa i muscoli e le diverse impostazioni di luce producono risultati diversi nel corpo. La luce rossa favorisce la produzione di collagene, riducendo le rughe e levigando la pelle, mentre quella luce blu ha un effetto energizzante. La “magia” dell’idroterapia Kaqun risiede però nell’ossigeno, in particolare nella sua capacità di aiutare gli utenti ad aumentare la quantità di ossigeno nei loro corpi assorbendolo direttamente attraverso la pelle. Il corpo – ha spiegato ancora – è una “macchina” che si autoguarisce, ma può farlo solo quando è sufficientemente energizzato”.

Abby Drey adrey@centredaily.com

Il Vitality Wellness Club aprirà al pubblico nelle prossime settimane, giusto in tempo per accogliere gli atleti che correranno il triathlon Ironman di Happy Valley il 30 giugno e le persone che visiteranno lo State College per il Central Pennsylvania Festival of the Arts a luglio.

Maggiori informazioni sui bagni in vasca con Acqua Kaqun

Acqua ad alto contenuto di ossigeno: perchè Kaqun è differente

acqua ossigeno: assorbire ossigeno dall'acqua

Acqua ad elevata concentrazione di ossigeno

Acqua e ossigeno – Esistono sul mercato numerose acque capaci di vantare elevate concentrazioni di ossigeno. In alcuni casi, si raggiungono addirittura i 150mg/l.
Ma a cosa serve tutto quell’ossigeno se poi non può essere assorbito?

Quando bevi acqua gassata assorbi CO2?

Ovviamente no. Aprendo una bottiglia di acqua frizzante o una lattina di una bibita gassata, una parte di CO2 si perde per via del cambiamento di pressione: lo “sfiato” che si sente girando il tappo o sollevando la linguetta.
La parte di CO2 rimasta – anch’essa instabile –  rimane invece “intrappolata” nel liquido sotto forma di bollicine che, una volta nello stomaco, si rompono rilasciando il gas. Fortunatamente, quest’ultimo non viene assorbito, ma espulso con la digestione. 

Ossigeno: forma stabile e dimensione dei cluster

La stessa cosa avviene con l’ossigeno, che se immesso forzatamente nel liquido, anche se presente in enormi quantità, non potrà mai essere assorbito dalle mucose di stomaco e intestino.  
Esistono infatti due condizioni fondamentali affinché l’ossigeno possa essere assorbito  – da un essere umano – attraverso un liquido: 

  1. L’ossigeno contenuto nel liquido deve trovarsi in forma stabile e non legato

  2. La dimensione dei cluster – all’interno dei quali vengono “stoccati ” gli atomi di ossigeno – non deve superare le 6 – 8 molecole, cioè la dimensione minima affinché questi possano penetrare le mucose di stomaco e intestino. 

Kaqun è l’unica acqua al mondo a garantire tali condizioni 

Frutto di una tecnologia complessa e differente da quella impiegata nella produzione di qualsiasi altra acqua “ricca di ossigeno”, Kaqun è l’unica acqua al mondo a garantire tali condizioni. Infatti, l’ossigeno contenuto nell’acqua Kaqun non viene immesso dall’esterno ma proviene dall’acqua stessa: attraverso il processo elettromagnetico brevettato a cui l’acqua viene sottoposta, i grossi clusters di acqua vengono rotti e si formano altri clusters più piccoli e più stabili formati da 6-8 molecole di acqua in grado di penetrare all’interno della membrana cellulare. L’ossigeno che viene liberato per effetto dei campi elettrici entra all’interno dei piccoli clusters e rimane disponibile come ossigeno non legato. 

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L’unica a vantare oltre 20 anni di studi scientifici e test clinici 

Kaqun si avvale di un comitato medico-scientifico specializzato indipendente da qualsiasi gruppo agroalimentare o farmaceutico.
Eseguiti su volontari sani e malati, su animali e in vitro, gli studi condotti su Acqua Kaqun hanno evidenziato la sua capacità di aumentare il livello di ossigeno nei tessuti. Tutti gli studi sono stati condotti presso Università e Istituti Governativi e pubblicati su riviste scientifiche di tutto il mondo. 

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L’importanza dell’ossigeno per la salute

Kaqun non è un’acqua frizzante e neppure un’acqua arricchita con ossigeno: Kaqun è l’unica acqua clinicamente testata e ad elevato contenuto di ossigeno stabile biodisponibile in grado di aumentare il livello di ossigeno nei tessuti
Con tutti i benefici che ne derivano…

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Chemioterapia e radioterapia: il ruolo dell’ossigeno

Pur ammettendo specifiche differenza da caso a caso, una caratteristica comune alla maggior parte dei tumori è data dai bassi livelli di ossigeno. Come dimostrato da numerose indagini, in condizioni di ipossia i tumori hanno generalmente un comportamento più aggressivo e le cellule tumorali subiscono frequenti mutazioni genetiche, sviluppando in tal modo una straordinaria capacità di diffondersi e, quindi, di portare a metastasi. 

L’ipossia (carenza di ossigeno) nella radio e chemioterapia

L’ipossia a livello del tessuto tumorale non solo porta ad una maggiore aggressività del tumore, ma causa anche una bassa risposta alla chemio e radioterapia.
In particolare, l’efficacia dei farmaci antitumorali è risultata essere ostacolata sia dai bassi livelli di ossigeno che dalle condizioni di acidosi del tessuto corporeo dovute alla glicolisi anaerobica, condiszione anch’essa legata alla carenza di ossigeno. Poiché alcuni farmaci chemioterapici richiedono ossigeno per generare i radicali liberi che uccidono le cellule tumorali, gli stessi farmaci si sono dimostrati essere inefficaci (o meno efficaci) nel caso di un cancro particolarmente ipossico.

Studio: “Effects of hypoxia on human cancer cell line chemosensitivity

Efficacia di farmaci utilizzati nella chemioterapia in condizione di ipossia

Per renderne la consultazione più semplice, riportiamo di seguito la traduzione dell’absctract dello studio “Effects of hypoxia on human cancer cell line chemosensitivity” condotto dai ricercatori Sara Strese, Mårten Fryknäs, Rolf Larsson e Joachim Gullbo integralmente consultabile cliccando qui. 

Metodo
Sono stati testati un panel di 19 farmaci disponibili in commercio: 5-fluorouracile, acriflavina, bortezomib, cisplatino, digitossina, digossina, docetaxel, doxorubicina, etoposide, gemcitabina, irinotecan, melfalan, mitomicina c, rapamicina, sorafenib, talidomide, toscritina e tiracanpazamina, per l’attività citotossica sulle linee cellulari tumorali A2780 (ovarico), ACHN (renale), MCF-7 (seno), H69 (SCLC) e U-937 (linfoma). Parti uguali e parallele delle cellule sono state coltivate a diverse pressioni di ossigeno e dopo 72 ore di esposizione al farmaco è stata ne è stata misurata la vitalità (citotossicità in microcoltura fluorimetrica FMCA).

Resistenza mediata dall’ipossia alla radio e chemioterapia
Le cellule ipossiche, cioè in carenza di ossigeno, possono essere resistenti sia alla radioterapia che alla chemioterapia convenzionale.
Gli studi dimostrano l’impatto negativo dell’ipossia sull’efficacia della radioterapia nel trattamento tumorale e, in particolare, nel caso di carcinoma mammario, carcinoma della testa e del collo e carcinoma della cervice uterina. Esistono diverse teorie non escluse per spiegare il fatto che anche la chemioterapia convenzionale abbia un effetto minore sulle cellule tumorali ipossiche. Il pattern vascolare anarchico caratteristico di molti tumori include cambiamenti di calibro, anse e triforcazioni. Unitamente alla distanza tra cellula e vaso sanguigno, ciò diminuisce sia l’esposizione del farmaco antitumorale che la proliferazione cellulare. Poiché l’effetto citotossico è maggiore nelle cellule in rapida divisione, le cellule tumorali a lenta proliferazione lontane dai vasi sanguigni risultano essere meno sensibili alla chemioterapia. Da momento che l’ipossia coinvolge anche le cellule con bassa espressione di p53, di conseguenza l’apoptosi indotta da p53 risulta conseguentemente ridotta nelle cellule ipossiche. Inoltre, in un ambiente normossico (cioè con normali livelli di ossigeno), le lesioni al DNA causate da alcuni farmaci antitumorali sono più permanenti, mentre in un ambiente ipossico si verificano livelli più elevati di ripristino e guarigione. 

Leggi anche – Ipossia tumorale

Saturazione di ossigeno nel sangue e pressione parziale di ossigeno nei tessuti (PO2): quale differenza?

Saturazione di ossigeno nel sangue e pressione parziale di ossigeno tissutale sono due parametri tra loro assai diversi.
Il primo, misurabile attraverso il semplice pulsossimetro (o saturimetro) da dito, si riferisce alla percentuale di emoglobina satura di ossigeno, cioè, semplificando, alla quantità di ossigeno legato e presente nel sangue. Il secondo, misurabile attraverso specifica strumentazione, si riferisce invece alla quantità di ossigeno effettivamente a disposizione di organi e tessuti.

Come vedremo, non è per nulla scontato che un corretto livello di saturazione di ossigeno nel sangue equivalga ad sufficiente disponibilità di ossigeno nei tessuti. Infatti, una giusta saturazione di ossigeno nel sangue segnala che il polmone sta funzionando bene e che sta correttamente gestendo lo scambio gassoso, senza necessariamente significare che vi sia allo stesso tempo anche una corretta capacità da parte della cellula di utilizzare tale ossigeno. Potremmo dire che un conto è avere il sangue carico di ossigeno (condizione certo favorevole se non indispensabile allo stato di salute), un altro è invece la capacità dei tessuti di assorbire tale ossigeno e, quindi, di utilizzarlo. 

Facciamo un esempio:

Un bambino appena nato ha una pressione parziale di ossigeno (PO2) di circa 96 mmHg e una saturazione di ossigeno nel sangue del 97%. Tutto funziona come dovrebbe e la condizione è pertanto ottimale.


Nell’anziano non affetto da specifiche patologie polmonari o respiratorie, la saturazione di ossigeno rilevata con il pulsossimetro rimane elevata, mentre la pressione parziale di ossigeno (PO2) si abbassa notevolmente fino a raggiungere livelli critici vicini ai 60 mmHg.

Ciò significa che la persona anziana ha sì una corretta saturazione di ossigeno nel sangue, ma anche che, per motivi fisiologici dovuti all’età e all’invecchiamento, una bassissima disponibilità effettiva di ossigeno nei tessuti. 

Misurare la saturazione di ossigeno nel sangue e la pressione parziale di ossigeno tissutale

Per i motivi sopra descritti, è spesso importante conoscere oltre alla saturazione di ossigeno nel sangue anche la pressione parziale di ossigeno tissutale. La misurazione della saturazione può essere effettuata a casa con il semplice pulsossimetro, oppure, in particolari casi in cui si rende necessario l’intervento di un medico, attraverso la determinazione su di un campione di sangue arterioso.

Per la  misurazione della pressione parziale di ossigeno tissutale è invece necessario ricorrere ad apparecchiature più sofisticate.
(In foto a sinistra il pulsossimetro da dito, a destra apparecchiatura Medicap Precise 8001).

Misurazione saturazione di ossigeno nel sangue con pulsossimetro
Misurazione Pressione Parziale di Ossigeno (PO2) nei tessuti con Medicap Precisero 8001
9th INTERNATIONAL KAQUN CONFERENCE 12 DEC 2020 – Part I. – ROBERT LYONS ND PH.D. CEO

In conclusione
Saturazione di ossigeno nel sangue e pressione parziale di ossigeno nei tessuti sono due cose differenti. Benché da intendersi come segnale positivo, una corretta saturazione di ossigeno misurata attraverso il pulsossimetro non significa che i tessuti corporei abbiano effettivamente una corretta saturazione di ossigeno. Altrettanto importante sarebbe pertanto misurare la quantità di ossigeno effettivamente a disposizione di organi e tessuti, cioè l’ossigeno che dal sangue correttamente ossigenato è “passato” alla cellula. 

Il ruolo di Kaqun
Oltre 20 anni di test clinici e studi scientifici hanno dimostrato la capacità di Acqua Kaqun di aumentare il livello di ossigeno nei tessuti. Dopo pochi minuti dall’assunzione di un bicchiere di Acqua Kaqun (150ml), il livello di ossigeno misurato all’interno dei tessuti cresce di circa il 25% rimanendo stabile per circa due ore. 

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Infertilità femminile e maschile: il ruolo dell’ipossia

infertilità

Numerosi studi dimostrano la stretta correlazione tra ipossia e disturbi dell’infertilità sia maschile che femminile

infertilità

Infertilità femminile e ipossia

Una condizione di ipossia cronica può facilmente portare all’infertilità in molti soggetti di sesso femminile. La fertilità risulta infatti ridotta anche nelle donne – così come in molte altre specie animali domestiche di sesso femminile – che risiedono in ambienti di alta quota con bassi livelli di ossigeno. In base ad uno recente studio è emerso per esempio che l’esposizione delle pecore all’ipossia da alta quota ha una notevole capacità di influire sullo sviluppo e sulla funzione del “corpo luteo”, struttura vitale dell’ovaio che produce gli ormoni necessari alla gravidanza. Senza un corpo luteo funzionante, la gravidanza non può avere successo. 

Attraverso un ulteriore studio condotto dai ricercatori della Yale School of Medicine sulla riduzione della fertilità femminile legata all’età, gli scienziati hanno scoperto che nelle donne di età superiore ai 40 anni l’ipossia può provocare danni alle ovaie. “Alcune donne rimandano la gravidanza, ma con l’età le cellule del cumulo che circondano e nutrono l’ovulo iniziano a morire; abbiamo scoperto che ciò è causato dalla mancanza di ossigeno”, ha affermato il dott. Pasquale Patrizio, direttore del Centro di fertilità di Yale e professore presso il Dipartimento di ostetricia, ginecologia e scienze della riproduzione.

Infertilità maschile e ipossia

Uomini e animali di sesso maschile producono ogni giorno un elevato numero di spermatozoi: questa produzione di sperma (spermatogenesi) nel testicolo richiede una notevole quantità di ossigeno. Studi sui ratti hanno dimostrato che l’ipossia cronica al testicolo conduce all’oligospermia, cioè ad un basso numero di spermatozoi nel testicolo.
Attraverso uno studio condotto su di un campione di alpinisti, vale a dire su soggetti che trascorrono lunghi periodi ad alta quota, dove i livelli di ossigeno sono più bassi, i ricercatori hanno inoltre documentato che il numero di spermatozoi si abbassava notevolmente rispetto ai livelli pre- partenza, rimanendo molto basso anche al termine della spedizione – quindi una volta tornati al livello del mare – per un periodo superiore ai 6 mesi. L’effetto è tuttavia reversibile ed il numero di spermatozoi ritorna quello di prima dopo circa 2 anni: lo studio conclude quindi che l’ipossia è responsabile della riduzione del numero di spermatozoi di tali soggetti. 

Attraverso uno studio condotto dal Department of Psychobiology dell’Università di Sao Paolo, in Brasile, i ricercatori hanno recentemente indagato la relazione tra apnea ostruttiva del sonno (OSA) e fertilità maschile, scoprendo che le interruzioni intermittenti della respirazione (episodi di riduzione dell’apporto di ossigeno e segno distintivo dell’apnea notturna) sono spesso associate a una ridotta fertilità. È stato inoltre scoperto che l’ipossia associata all’ostruzione delle vie aeree nei pazienti con OSA è anch’essa un importante fattore in grado di concorrere alla riduzione della fertilità.

Simili studi dimostrano la stretta correlazione che intercorre tra una condizione di ipossia, cioè di carenza di ossigeno, e l’insorgenza di numerose problematiche a livello dell’infertilità sia femminile che maschile. Pertanto, contrastare eventuali condizioni di ipossia si dimostra essenziale per ripristinare le funzioni biologiche legate alla fertilità. 

> Approfondisci: ipossia, cos’è e a cosa è dovuta

Carenza di ossigeno al cuore – sintomi e conseguenze

ossigeno al cuore

ossigeno al cuore


Mancanza di ossigeno al cuore
Le cellule del cuore sono molto sensibili alla mancanza di ossigeno: per pompare ininterrottamente, 24 ore al giorno, tutti i giorni di tutta la vita, il cuore richiede infatti un costante apporto di energia e, quindi, di ossigeno. Tuttavia, poiché il cuore non dispone di una particolare “riserva” di ossigeno, il carente afflusso o la mancanza di sufficiente ossigeno si dimostra una condizione particolarmente seria.

Sistema cardiovascolare
Il sistema cardiovascolare, noto anche come sistema circolatorio, comprende cuore, arterie, vene, capillari e sangue. Il cuore è letteralmente la pompa che spinge il sangue attraverso la rete dei vasi sanguigni, cioè l’insieme dei “tubi” di varie dimensioni (arterie, vene e capillari) che gli consentono di raggiungere i diversi distretti del corpo. 
Fornire ossigeno al corpo è la funzione principale e più importante del sistema cardiovascolare: il cuore e la rete di vasi sanguigni sono infatti il sistema di trasporto che garantisce il costante afflusso di ossigeno alle cellule.

La richiesta energetica del cuore
Sebbene tutte le cellule richiedano ossigeno, le cellule cardiache sono, insieme a quelle cerebrali, le più sensibili all’ipossia e, se private dell’ossigeno di cui necessitano, cominciano a morire nel giro di pochissimi minuti. Il cuore da solo, per funzionare, richiede ed utilizza dal 5 al 20% del quantitativo totale di ossigeno a disposizione dell’organismo. Se non ricevono abbastanza ossigeno, le cellule del muscolo cardiaco muoiono entro 20 minuti. Quindi, l’ipossia causata da un’ostruzione delle arterie si dimostra particolarmente grave, se non letale, sia per il cuore che per il cervello.

Malattie cardiovascolari: infarto e attacco di cuore
In base ai dati diffusi dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo. Per CVD, s’intendono generalmente condizioni che riguardano l’ostruzione dei vasi sanguigni e quindi un carente afflusso di ossigeno al cuore, con conseguente dolore toracico (angina) infarto e ictus).

Cosa succede durante un infarto o un attacco di cuore? 
L’infarto si verifica quando un’arteria coronaria ristretta si “blocca” improvvisamente a causa di un coagulo di sangue, interrompendo così l’apporto di ossigeno al cuore, le cui cellule soffrono di “ipossia immediata” (Cellular Pathways of Death and Survival in Acute Myocardial Infarction – Department of Physiology, Brody School of Medicine, East Carolina University, Greenville, NC, USA).

Senza ossigeno, le cellule cardiache passano alla glicolisi anaerobica per generare energia, producendone un quantitativo 16 volte inferiore rispetto a prima. A causa di questa improvvisa “crisi energetica”, le cellule cominciano rapidamente a morire. Se entro un’ora non viene ristabilito l’afflusso di sangue ricco di ossigeno al cuore, le cellule muoiono e il cuore smette di funzionare correttamente diminuendo a sua volta la fornitura di ossigeno al corpo (insufficienza cardiaca). Se i danni sono eccessivamente estesi, il cuore smette di battere ed il soggetto muore. 

> Ipossia: cos’è e come contrastarla

Ipossia cerebrale: carenza di ossigeno al cervello e ictus

Ipossia cerebrale

Ipossia cerebrale, ovvero carenza di ossigeno al cervello
Le cellule del cervello sono particolarmente sensibili alla mancanza di ossigeno. Pur essendo un organo particolarmente “attivo” dal punto di vista metabolico, il cervello non dispone infatti di alcuna particolare “riserva di ossigeno” (Hypoxia, Ischemic Stroke, and Memory Defcits:Prospects for Therapy – Miao-Kun Sun).

L’ossigeno è fondamentale alle cellule cerebrali, la cui funzione è quella di trasmettere i segnali elettrici che coordinano la funzione di tutti gli organi, consentono il movimento e “orchestrando” tutte le altre funzioni corporee all’interno di un organismo vivente. Tali attività, fondamentali alla vita stessa, sono ad alta richiesta energetica. In particolare, cellule “ad alto funzionamento” come quelle celebrali e cardiache, richiedono per funzionare un costante ed elevato quantitativo di energia. 

Questo è il motivo per cui l’ipossia cerebrale si dimostra una condizione particolarmente seria per le funzioni celebrali.

> Ipossia – cos’è e come contrastarla

Ipossia cerebrale e malattie cardiovascolari: infarto e ictus
Secondo l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), le malattie cardiovascolari (CVD) sono la prima causa di morte nel mondo: ci sono più persone che muoiono ogni anno per CVD che per qualsiasi altra causa. Con malattie cardiovascolari ci si riferisce generalmente a condizioni che riguardano l’ostruzione dei vasi sanguigni con conseguente dolore toracico (angina), infarto o ictus. 

Ipossia cerebrale e ictus
L’ictus
si verifica quando un’arteria cerebrale ristretta si “blocca” improvvisamente a causa di un coagulo di sangue, interrompendo così l’apporto di ossigeno. Sebbene il meccanismo sia molto simile a quello di un infarto o di un attacco di cuore (che si verifica generalmente quando a bloccarsi è un’arteria coronaria), l’ipossia cerebrale può essere un problema anche più grave poiché le cellule cerebrali muoiono ancor più velocemente di quelle cardiache. L’interruzione del regolare flusso di ossigeno al cervello porta ad una rapida morte cellulare, con conseguenti danni permanenti alle regioni del cervello interessate. 

A seconda della regione del cervello interessata, un ictus può provocare una serie di problemi neurologici differenti, come perdita della capacità di muovere un arto, di parlare o di vedere, fino alla perdita di coscienza (coma) e alla morte. 

> Acqua Kaqun contrasta l’ipossia – come funziona e quando è indicata

Apnea ostruttiva del sonno

Apnea istruttiva del sonno
Apnea ostruttiva del sonno

Apnea ostruttiva del sonno: cos’è e cosa comporta
L’apnea ostruttiva nel sonno (OSA) si verifica quando i muscoli della gola si rilassano in modo intermittente e bloccano le vie respiratorie durante il sonno. Ciò fa si che la respirazione s’interrompa e riprenda ripetutamente durante il sonno, portando a una mancanza intermittente di ossigeno al cervello.

Sintomi e cause
Il primo e forse più evidente sintomo che potrebbe suggerire l’insorgenza di apnee ostruttive è il russare molto evidente fin dalle prime fasi di sonno (cioè quando il soggetto smette di respirare per qualche secondo, per poi riprendere a respirare improvvisamente). Altri sintomi possono inoltre essere rintracciati in un’eccessiva sonnolenza diurna, nella difficoltà a concentrarsi, nei colpi di sonno, nella cefalea (mal di testa) al risveglio, nei risvegli improvvisi con sensazione di soffocamento e nell’impotenza.
Ugualmente, le condizioni che possono favorire l’insorgenza dell’apnea ostruttiva del sonno possono essere di diversi tipi. Tra le principali vi sono l’obesità, l’ostruzione delle vie aeree superiori (naso, bocca, gola), l’assunzione e l’abuso di farmaci o bevande alcoliche.

Apnea ostruttiva del sonno e diabete
Secondo uno studio condotto su 11.000 pazienti e pubblicato sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, una grave apnea ostruttiva può aumentare il rischio di sviluppare il diabete del 30% o più.
È stato riscontrato che l’ipossia intermittente nelle persone con apnea ostruttiva nel sonno aumenta la resistenza all’insulina e i rischi di sviluppare il diabete. Evidenzianto il legame tra diabete e ipossia attraverso un’ampia sperimentazione sul lungo periodo di follow-up, i medici possono essere in grado di intervenire e adottare misure di prevenzione del diabete per i pazienti con OSA che ancora non hanno sviluppato la malattia. 

L’ipossia risulta pertanto strettamente associata ai processi patologici del diabete, in quanto compromette il modo in cui le cellule stesse interagiscono con l’insulina. Ciò porta alla insulino-resistenza, uno stato cioè in cui l’insulina diventa sempre meno efficace nel ridurre la glicemia e tutto ciò conduce allo sviluppo del diabete di Tipo 2. 

> Approfondisci – ipossia e diabete

Aumentare l’ossigeno nelle cellule

Aumentare l’ossigeno nelle cellule

Perché aumentare l’ossigeno nelle cellule

L’ossigeno è un elemento fondamentale alla vita di qualsiasi organismo animale.
Senza sufficiente ossigeno, le cellule hanno a disposizione molta meno energia e svolgono le loro funzioni in modo meno efficiente. Considerando che l’energia è necessaria per mantenere sane le cellule e permettere loro di svolgere tutte le funzioni, la mancanza di sufficiente ossigeno si dimostra un serio problema: le cellule “affamate di ossigeno” possono anche iniziare a non funzionare bene e a morire prematuramente, causando fenomeni degenerativi nei tessuti.

Degenerazione cellulare
La degenerazione delle cellule accelera il processo di invecchiamento e facilita l’insorgenza di patologie  come la demenza, la retinopatia degenerativa, la diminuzione della capacità polmonare, l’ostruzione delle  arterie, rendendo più difficoltoso l’apporto di ossigeno alle cellule. In questo modo, si innesca un circolo vizioso di invecchiamento e degenerazione. Pertanto, apportare una sufficiente quantità di ossigeno e – qualora concorrano cause esterne come l’inquinamento atmosferico, la vita sedentaria o altre patologie –  aumentare l’ossigeno nelle cellule si dimostra di fondamentale importanza per mantenersi in salute.

Come fa la cellula a produrre energia dall’ossigeno?
All’interno di ogni cellula ci sono migliaia di piccole “centrali elettriche” chiamate mitocondri che generano energia sotto forma di ATP. Affinché queste centrali possano generare le molecole di ATP attraverso il processo della fosforilazione ossidativa (OXPHOS), è necessario un generoso apporto di ossigeno.

Come fa Kaqun ad aumentare la quantità di ossigeno nelle cellule e nei tessuti?

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Aumentare la quantità di ossigeno nelle cellule per efficientare il processo di produzione dell’energia (ATP)
Se c’è abbastanza ossigeno a disposizione, il mitocondrio, attraverso la fosforilazione ossidativa, produce 36 molecole di  ATP ogni molecola di glucosio. Quando l’ossigeno non basta più, si innesca il metabolismo anaerobico di tipo fermentativo: le molecole di ATP prodotte sono solo 2 e si forma acido lattico con conseguente acidosi metabolica e dolore muscolare.
Gli atleti e gli sportivi in generale hanno familiarità con questo meccanismo, che di fatto determina il modo in cui ci si allena e si “recupera” dall’esercizio fisico. Più ATP il mitocondrio riesce a generare e più energia i muscoli avranno a disposizione: ciò si traduce in maggiore velocità e forza di contrazione muscolare e maggiore e prolungata resistenza allo sforzo.
Con più ossigeno, si genera 16 volte più energia attraverso un processo (l’OXPHOS) che non produce acido lattico. In altre parole, si ha a disposizione più energia per potenziare l’esercizio e migliore la fase di recupero post allenamento con meno indolenzimento muscolare.

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